lunedì 2 dicembre 2013

Tris di Mantecati di Lago

Il Tris di Mantecati di Lago con Crostini di Polenta abbinati.
INGREDIENTI PER 8 PERSONE:



4 Lavarelli da 300 grammi Cadauno .
2 scalogni tritati per il fondo di cottura.
½ litro di latte.
Olio di oliva .
Sale  e pepe q.b.
100 grammi circa di farina  bianca per la mantecatura.
200 grammi di polenta gialla.
800 ml di acqua  con poco sale e olio extravergine di oliva.
1 cucchiaio da minestra di concentrato di pomodoro.

4 Tinche da 300 grammi cadauna .
2 cipollotti per il fondo di cottura.
½ litro di latte .
Olio di oliva.
Sale e pepe q.b.
100 grammi di farina bianca per la mantecatura.
400 grammi di cicoria selvatica stufata con aglio in camicia.
200 grammi di polenta gialla.
800 ml di acqua con sale e olio extravergine di oliva.

4 Pesce gatto da 300 grammi cadauno.
2 cipolle bianche per il fondo di cottura.
½  litro di latte.
Olio di oliva .
Sale e pepe q.b.
Pomodorini ciliegia .
1 foglia di Lauro.
100 grammi di farina bianca per la mantecatura.
200 grammi di polenta bianca .
800 ml di acqua con sale e olio extravergine di oliva.
PROCEDIMENTO:

Per il mantecato di lavarello .

Sfilettare e deliscare il Lavarello privandolo poi dalla pelle.
Fare soffriggere in un tegame il fondo di scalogno facendo  rosolare successivamente i filetti di Lavarello. 
Sfumare con poco vino bianco  e versare poi il latte con poco di sale e pepe portare all’ ebollizione schiumare per bene e mantecare energicamente con la farina setacciata.
Chiudere il tutto con una nota di olio extravergine di oliva e fare riposare.
Per la sua polenta procedere come una normale polenta gialla chiudendo poi il tutto con il concentrato che gli conferirà acidità e colore. Versare negli stampi e dopo essersi raffreddata per bene tagliare e grigliare ambi due i lati.

Il mantecato di  Tinca.

Cambiando l’ordine degli ingredienti il procedimento resta  analogo a quello del  Lavarello  . Chiudere la mantecatura con la cicoria selvatica .

Il mantecato di Pesce Gatto.

Sfilettare e deliscare il Pece Gatto privandolo poi dalla pelle.
Fare soffriggere in un tegame un trito di cipolla bianca facendo poi rosolare successivamente i filetti di Pesce Gatto.
Aggiungervi poi una foglia di Lauro per profumare il tutto e versatevi i pomodorini tagliati a spicchio  e privi di semi e pelle, infine unitevi  il latte  con poco di sale e di pepe bianco.
Portare all’ ebollizione e schiumare di tanto in tanto.Mantecare con la farina.
Per la sua polenta procedere come una normale polenta bianca con i  suoi rispettivi ingredienti.
Versatela  poi in un’ apposito stampo per conferirne una forma. Fare raffreddare e tagliare per poi grigliarla.


martedì 19 novembre 2013

Su Pisittu de Gonnusu

Storie sarde: il pane e il suo nome.



La denominazione “su Pisittu”che in italiano significa “il gatto”  è una focaccia bianca a lievitazione naturale, cioè fatto con l’impasto madre alla vecchia maniera sarda , proprio come piace a me.
In Sardegna tutte le mattine vi sono una serie di riti che per la loro semplicità e bellezza a me fanno impazzire, come accendere il fuoco con le foglie secche , rilasciando  nelle case quel fumo e profumo unico conferendone  il magico scoppiettio della legna che inizia la sua combustione, il profumo del caffè e del latte, che scaldato nella tazzina in ferro smalto, trabocca fuori (s’impruddara) bruciacchiando e dando quel sentore di Magica Sardegna, poi come ogni mattina (o quasi) recarsi a prendere dal fornaio, la cosa più sacra di ogni tavola, il Pane.
Oggi pensando a queste cose, mi è venuta in mente una vicenda della mia infanzia legato a questo pane “Su Pisittu”.
Venni mandato da mia nonna a prendere il pane , nello specifico “ Su Pisittu”, presi  la busta di carta per poterlo riporre  dentro (busta rigorosamente riciclata, prima esse si ripiegavano con grande cura e mai si buttavano via, era un segno di rispetto nei confronti della vera povertà), mi recai dal panettiere di fiducia e nelle sue vicinanze già si sentiva quel profumo di pane appena sfornato tanto che anche ad occhi chiusi sarei potuto arrivare in panetteria.  
 Entrai per comprare il pane, oltre alla panettiera, vi era nel negozio anche una ragazzina, che a me piaceva tanto.  Ero un pulcino ma ricordo bene che per non parlare in sardo e sembrare ai suoi occhi un ragazzino sapiente decisi di ordinare il pane parlando la mia seconda lingua cioè l’Italiano.
la signora chiese: << Che vuoi Alessieddu ?>> e io tutto preso dissi    << mi dia un pane  Gatto>>, mai l’avessi detto… l’impatto fu devastante con una risata collettiva che coinvolse anche  la ragazzina che corteggiavo (mi volevo sotterrare per la pessima figura).
Ecco il motivo che oggi mi ha spinto a chiedere come mai questo nome strano “Su Pisittu” che ripeto per i noi  sardi significa “il Gatto”. La spiegazione  raccontatami dal   Maestro del Forno affonda le sue radici in una sorta di leggenda paesana .
Pare che venne commissionato per scherzo in un  panificio di Gonnosfanadiga (Ca) un pane che appunto chiamarono “Pisittu”, per non perdere il posto di lavoro il dipendente fece un pane triangolare cercando di dare una forma simile ad un gatto ,dopo cotto la forma cambiò in quella  che noi ora conosciamo. Non perdendo il posto di lavoro inventò senza volerlo il nome di un pane che credo sia unico in Sardegna a portare questo nome .
Carino vero?

lunedì 18 novembre 2013

L'Arte del Mangiar Bene Vivendo !

L'Arte del Mangiar Bene Vivendo !


Lo Zafferano : 
L’Oro Sardo con la sua Tradizione 
e i suoi racconti .





Il fiore dello zafferano oltre ad essere un bel fiore, è anche un fiore "portatore di benessere", poiché non  tutti sanno che lo zafferano  ha diverse proprietà terapeutiche e benefiche, una spezia che si ottiene dagli stigmi rosso-arancio raccolti a mano (lasciando intatti i tre stigmi senza la parte bianca) e fatti essiccare sopra il legno ardente o cenere calda (vi sono varie tecniche). Per 1 kg di zafferano sono necessari quasi 150000 stigmi provenienti da circa 50000 fiori(durante la raccolta vengono contati e nel cesto in olivastro viene incastrato un fiore ogni 100 pezzi ): per questo motivo si tratta di una delle spezie più care al mondo e talvolta qualche furbo lo mescola ai fiori di calendula.
Ho collaborato per caso ,alla pulitura di questo fantastico  fiore, con uno dei coltivatori più conosciuti a San Gavino Monreale per la qualità massima del suo Zafferano il Sig. Giuseppe che  io  chiamerò  Pino in segno di  amicizia . Dividendo gli stigmi dai petali con Pino abbiamo fatto una gran bella chiacchierata, anche perché questa tradizione a casa sua significa giorno di festa. Il suo zafferano viene considerato uno dei migliori e questo è dovuto ad una terra  particolare, ma sicuramente anche alla sua passione e alla tradizione tramandata dal padre al figlio.
Pino spiega che gli stigmi vanno levati interi (tre senza la parte bianca) ,cosa non facile per un dilettante come me.
Sul tavolo un colore magico creato da migliaia di fiori dal profumo fantastico .Da questo nasce  la mia curiosità  che in automatico mi porta ad una domanda ossia: che fine fanno i fiori dopo il loro utilizzo ?
La risposta affonda anch’essa nella tradizione che vuole il fiore nuovamente alla terra, dunque viene buttato come fosse sacralità benevola per il raccolto presente e futuro.
Questa  risposta fa nascere in me una  grande idea che ora Pino e la sua compagnia porteranno avanti e che io son fiero di annunciare in primis sul mio Blog .
 L’essicazione dei fiori per il loro utilizzo come decorazione in cucina ma non solo .
Trattandosi di fiori perfettamente commestibili l’idea rende un prodotto vegetale già molto prezioso ancora più sfruttabile, creando qualcosa che si può utilizzare in maniera quasi unica! Ecco alcune azioni terapeutiche del fiore di zafferano.
Lo zafferano è d'aiuto in caso di stanchezza, perché rinforza il cuore ed il sistema nervoso; inoltre, aumentando la produzione di succhi gastrici stimola la fame e la digestione.
La naturopatia indiana lo prescrive nella cura di malattie alle vie urinarie, mentre l'omeopatia come rimedio in caso di epistassi
Cosa contiene il fiore di zafferano:
Lo zafferano contiene un olio essenziale chiamato safrolo, oltre a cineolo, pinene, picrocrocina e un'alta percentuale di vitamina B2.I carotenoidi, pigmenti colorati presenti negli stigmi dei fiori, conferiscono allo zafferano il caratteristico colore rosso-arancio e contengono crocina e crocetina.
Curiosità: esiste anche il latte allo zafferano
Per alleviare disturbi dovuti a malattie cardiache è d'aiuto bere del latte allo zafferano: fare bollire una tazza di latte e aggiungere un pizzico di zafferano. Lasciare bollire leggermente per altri 2 minuti e addolcire con il miele. Berne 1 tazza al giorno.
Occorrerebbero tantissime pagine per descrivere affondo questo fantastico oro Sardo . Infatti è solo un piccolo sunto che vuole annunciare l’idea  della sua essicazione che diverrà realtà grazie alla squadra di Pino & Co  .
Per adesso mando un caloroso augurio di buona Sardegna a  Tutti !

Lo Chef Graziu Alessio 

giovedì 14 novembre 2013

SU CASU MARZU (FORMAGGIO MARCIO)




 Si tratta di un formaggio di Pecora o di Capra pieno di vermi. Il formaggio è in fermentazione, anzi proprio in fase di decomposizione. Il formaggio rappresenta uno dei  piatti tradizionali della Sardegna. Pare che Su Casu Marzu sia particolarmente indicato come afrodisiaco. Sarà un effetto dei suoi vermi?
 Su Casu Marzu è un formaggio ottenuto mediante fermentazione naturale; si può considerare una varietà del cacio sardo composto da latte Pecorino o Caprino . La caratteristiche principale è che la sua pasta contiene vermi, ha sapore piccantissimo e forte odore. Su  Casu Marzu è in realtà la forma di pecorino o Caprino che viene  attaccata dal moscerino del formaggio (Piophila casei) ed i vermi sono le larvette  prodotte dalle uova di questo moscerino. La maturazione dura da tre a sei mesi. Alcuni pastori prendono la forma bucata la colmano d ’olio dopo averla richiusa e fatta stagionare per 2 mesi in modo da ottenere una pasta più morbida e burrosa.
Esistono notoriamente altre varianti in giro per l’Italia:
-          il marcetto o cace fraceche, in Abruzzo
-          il saltarello in Friuli (cosi detto per le qualità ginniche dei vermetti)
-          la ribiòla cui bèg in Lombardia
-          il furmai nis in Emilia
Io consiglio, per l’abbinamento enologico, un robusto Cannonau.
Nel caso ci fossero da superare barriere psicologiche prima di provare il formaggio, è consentito berne due litri in anticipo.

martedì 5 novembre 2013

                                       APERITIVO DEL MESE(clicca qui)

SACRO GRAAL ALLA MELAGRANA






martedì 5 marzo 2013

NEBIDEDDA
Fantasticamente ,unica !!!!


Thymus herba-barona Loisel 
Famiglia Labiatae 
Nome comune
Timo erba-barona

Nome Sardo
Nebidedda (Villacidro - Gonnosfanadiga), Tumbu (Sard. merid.),  Alba barona (Gallura), Armidda (Sard. sett. – centr. – merid.), Amènta de S. Maria (loc. div.), Amènta de S. Sofia (loc. div.).

Notizie generali
Specie endemica della Sardegna e della Corsica.
Ha un portamento cespuglioso a pulvino, fusti legnosi e striscianti,
Foglie piccole e molto aromatiche.
Fiori molto numerosi che si sviluppano nei rami terminali, di colore rosa.
E' molto simile al > Timo arbustivo.



venerdì 11 gennaio 2013





La Sardegna - Magica Terra da Scoprire . 

Una Cucina fatta di Semplice vita quotidiana .

Le nostre Forze sono L'Orgoglio di essere sempre e comunque .


L'arte del Mangiar Bene ,Vivendo.....


 Secondo alcune recenti scoperte sembra che il garum, un’antica salsa di pesce in aceto e miele, molto apprezzata dai patrizi romani, provenisse anche dalla Sardegna. Gli scavi effettuati nella zona del porto di Cagliari testimoniano come le antiche popolazioni delle coste cagliaritane non abbiano mai interrotto i rapporti con il mare e con la pesca .Si possono riconoscere sull’Isola tre diverse tradizioni gastronomiche di mare: una certamente di origine nuragico-fenicia (e poi romana)ed anche la più antica; un’altra seconda è quella genovese-pisana, che si riscontra in tutto il sud-ovest dell’isola; la terza è indubbiamente quella algheresa, con forti influssi catalani e che si estende su tutta la costa da Alghero sino alle Bocche di Bonifacio. Nei centri costieri, soprattutto Cagliari, Carloforte, Oristano, Alghero, Santa Teresa di Gallura, Olbia, i piatti a base di pesce e crostacei sono innumerevoli con ricette che esaltano le qualità locali


 A Cagliari i piatti tipici sono la Frègula cun cocciula (fregola con le arselle dette anche Cuore); le Còcciula e cozzas a schiscionera (vongole e cozze cucinate in tegame), e poi la Burrida a sa casteddaia, un piatto a base di gattucio marino, aceto e noci), la Cassòla, una zuppa di vari pesci, crostacei e molluschi; l’Aligusta a sa casteddaia (aragosta condita alla cagliaritana); seguono gli spaghetti con vongole e bottarga e gli Spaghittus cun arrizzonis ossia spaghetti ai ricci di mare serviti anche in varianti con carciofi o con asparagi selvatici).

Nelle coste sulcitane si trovano alcune delle più antiche tonnare del Mediterraneo. La cucina risente dei forti influssi genovesi ed è fortemente basata sulla pesca del tonnorosso e sui prodotti collegati a tale pesca, come la bottarga, il cuore di tonno, il Musciame, la Buzzonaglia, il Lattume senza dimenticare il Cascà, un cuscus di semola con sole verdure, di origine tabarchina.

Nella cucina tipica dell’oristanese e negli stagni di Cabras si sente ancora l’antica influenza fenicia, ma anche quella pisana, soprattutto a Bosa dove sono molto apprezzate le anguille. Gli stagni sono ricchi di pesce e dalle uova di questi si produce la bottarga di muggine (uova di cefalo essiccate sotto sale) che può essere consumata in sottili strisce condita con olio, oltre che grattugiata sulla pasta. Altro prodotto caratteristico è Sa Merca, costituita da tranci di muggine bollito e salato, avvolti in una sacca di erba palustre, la zibba (Ital. Obione), utilizzata a scopo di conservazione. Si può inoltre gustare una variante della Burrida (gattucio), ma anche muggini arrosto e anguille allo spiedo e poi spigole, dentici e orate.

Ad Alghero le aragoste sono molto pregiate e sono preparate alla maniera catalana ossia bollita con pomodori, sedano e cipolla e accompagnata con una salsa ottenuta dalla testa con aggiunta di succo di limone, olio d’oliva, sale e pepe. Anche la Razza in agliata è una specialità algherese e si prepara lessandola e ricoprendola di sugo di pomodoro, aceto, aglio e prezzemolo.
Verso Santa Teresa e l’arcipelago della Maddalena, le insalate di polpo sono una tipica specialità, mentre ad Olbia lo sono i piatti a base cozze, vongole veraci e arselle.  Molto singolari e per molti una vera leccornia, sia nel nord che nel sud dell’Isola sono le Orziadas o Bultigghjata ossia gli anemoni di mare infarinati e fritti.
Si basa su ingredienti molto semplici ed è molto varia: cambia da zona a zona, non solo nel nome delle pietanze, ma anche negli ingredienti. La semola di grano duro (Trigu saldu) sarda produce un tipo di pasta di alta qualità che si presta ad essere lavorata nelle forme più svariate. Benedetto Croce nelle note ad una sua traduzione in lingua italiana di un testo napoletano del 1600, il Pentamerone, spiega come a quei tempi nella Campania e particolarmente a Napoli la pasta venisse chiamata pasta di Cagliari, a conferma che la qualità delle farine sarde era già da lungo tempo conosciuta ed apprezzata.
UNA PASSEGGIATA CON GUSTO  

IL CARDO MARIANO IN CUCINA

Ecco un'ingrediente tenerissimo in questo periodo quando è ancora giovane .

Questo prodotto è reperibile molto facilmente e allora come resistere nel non utilizzarlo per cucinare delle frittelle o magari anche una buona pasta .
L'uso è veramente immenso ,dall'antipasto (anche sott'olio) al primo ,al secondo ,al contorno , al dessert e persino al Liquore magari aromatizzato al mirto (adesso è il periodo del mirto , usate le vostre passeggiate per più Gusti ).
Parliamo del prodotto :

Il Cardo contiene: tannino, sostanze amare, amido e mucillaggine.
Le sue proprietà sono: colagogo (aumentare la quantità di bile che defluisce nell?intestino), coleretico (stimola il fegato a produrre la bile), diuretico, ipertensivo, tonico.


Si utilizzano le foglie raccolte in primavera ed essiccate in luoghi ben ventilati e bui.
In cucina il suo uso è pari a quello del carciofo: si utilizzano i germogli e le foglie più giovani ad insalata con un gusto amarognolo che ricorda il cardo; le radici ed i fiori si cucinano in acqua come qualsiasi verdura.

 L’estratto di questa pianta è utilizzato da più di 2000 anni per trattare patologie epatiche, quali epatite e cirrosi, e per proteggere il fegato dall’avvelenamento da tossine, che avviene, per esempio, in seguito all’ingestione di funghi velenosi,  di sostanze come l’alcol e di farmaci come l’aspirina, il paracetamolo ed altri FANS .Una descrizione di questa pianta medicamentosa si ha già nel IV secolo a.C. da parte di Teofrasto e, in seguito, nel I secolo a.C., da parte di Plinio .